Materia
Delegazione legislativa – Esecuzione penale – Ordinamento penitenziario – Pene
Tipologia di decisione
Sentenza di rigetto[1]
Oggetto della q.l.c.
Art. 59 legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale)
Parametri
Art. 3 Cost. – Art. 27, co. 3, Cost.
Massima
- Rientra nella discrezionalità del legislatore la scelta di non consentire l’applicazione di pene sostitutive alla detenzione ai condannati per i reati indicati nell’art. 4-bis ord. pen., fermo restando che il legislatore e l’amministrazione penitenziaria hanno il preciso dovere di assicurare a tutti i detenuti condizioni rispettose della dignità della persona e del principio di umanità della pena.
Moniti/Inviti al legislatore
- La Corte auspica interventi organici del legislatore, che avvicinino progressivamente l’odierna disciplina dell’esecuzione penale al modello delineato in Costituzione.
Profili d’interesse
- La Corte ha ritenuto che la riforma Cartabia, attuata con decreto legislativo, non abbia violato i principi e i criteri direttivi stabiliti nella legge di delega parlamentare, che aveva impegnato il Governo ad assicurare il coordinamento tra l’accesso alle nuove pene sostitutive e le preclusioni stabilite dall’ordinamento penitenziario.
- Dalla pronuncia emerge con chiarezza che il legislatore vanta la discrezionalità di stabilire, entro i limiti della ragionevolezza e della proporzionalità, a quali tipologie di reato le nuove pene sostitutive possono trovare applicazione.
- Si intravede un certo apprezzamento per l’ampliamento delle pene sostitutive e delle possibilità di accedervi, approvato nel 2022, che la Corte sembra giudicare coerente con i principi costituzionali in materia di pena.
- La Corte rimarca che il percorso di adeguamento dell’ordinamento penitenziario ai principi costituzionali può procedere gradualmente, anche attraverso sperimentazioni successive, coinvolgendo anzitutto i reati meno gravi e lasciando al margine quelli che il legislatore, con valutazione non arbitraria né discriminatoria, reputi maggiormente offensivi.
Precedenti connessi
Sul margine discrezionale e sul criterio di ragionevolezza e proporzionalità
- C. cost., sentenza 18 aprile 2025, n. 52;
- C. cost., sentenza 26 gennaio 2024, n. 10.
Sulla graduale inveramento dei principi costituzionali in materia tributaria
Estratto della motivazione
7.4. – [D]eve escludersi che il legislatore delegato abbia, mediante la censurata riformulazione dell’art. 59 della legge n. 689 del 1981, ecceduto i margini di discrezionalità conferitigli dalla legge delega nel prevedere una preclusione generale alla sostituzione della pena per gli imputati dei reati di cui all’art. 4-bis ordin. penit., per i quali l’accesso alle misure alternative è previsto solo in seguito a complessi accertamenti, da compiersi in fase esecutiva. Il legislatore delegato ha, evidentemente, ritenuto che l’anticipazione di tali accertamenti nel giudizio di cognizione fosse incompatibile con l’obiettivo – coerente con la finalità generale della riforma di assicurare la «semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo penale» (art. 1, comma, 1, della legge delega) – di consentire già al giudice della cognizione, nel quadro di un procedimento il più possibile celere, la valutazione sull’ammissione del condannato a una pena da scontarsi del tutto al di fuori del carcere; optando poi per sottrarre a tale preclusione soltanto l’ipotesi […] dell’imputato di reati contro la pubblica amministrazione cui sia (già) stata riconosciuta, in esito al processo di cognizione, la circostanza attenuante della collaborazione di cui all’art. 323-bis cod. pen., proprio perché in tale ipotesi l’interessato, una volta passata in giudicato la sentenza di condanna, non sarebbe più incorso in alcuna preclusione alla concessione delle corrispondenti misure alternative, senza necessità di ulteriori accertamenti.
Tali scelte appaiono del tutto compatibili con la (invero generica) indicazione della legge delega di assicurare il «coordinamento» della disciplina delle riformate pene sostitutive con le preclusioni stabilite dall’ordinamento penitenziario, e in particolare dal suo art. 4-bis, che è all’evidenza la disposizione centrale a questo proposito.
Né la violazione della legge delega potrebbe dedursi, come sostenuto dai difensori delle parti e dall’amicus curiae, dalla scelta del legislatore delegato di introdurre ex novo nel testo dell’art. 59 della legge n. 689 del 1981 una preclusione assoluta per gli imputati dei reati di cui all’art. 4-bis ordin. penit., dal momento che l’esigenza di coordinamento tra le due discipline (pene sostitutive e ordinamento penitenziario) nasceva proprio dalla decisione – prefigurata dalla legge delega, e attuata dal legislatore delegato – di allargare incisivamente la platea dei possibili destinatari della sostituzione: platea che oggi comprende i condannati a pene detentive non superiori a quattro anni, mentre in precedenza era applicabile ai condannati a pene detentive non superiori, secondo i casi, a sei mesi, un anno e due anni (art. 53 della legge n. 689 del 1981, nella formulazione anteriore alla riforma del 2022). Una tale estensione della sostituzione della pena detentiva a condannati per reati anche notevolmente più gravi (e le cui pene eccedessero il limite di ammissibilità della sospensione condizionale) poneva necessariamente il problema del suo coordinamento con le preclusioni stabilite dall’ordinamento penitenziario: problema, come si è detto, che la legge delega ha puntualmente sottoposto all’attenzione del Governo, conferendogli ampio margine discrezionale con riguardo alla sua soluzione, sia pure entro i limiti segnati dalla ratio complessiva della delega, ispirata anche – come si è poc’anzi osservato – a criteri di semplificazione e speditezza della disciplina processuale.
Né, infine, può ritenersi eccedente i margini di discrezionalità conferiti dalla delega la decisione del Governo di configurare tale preclusione come assoluta, a fronte della relatività della presunzione di pericolosità stabilita nell’ordinamento penitenziario, ove la presunzione può – peraltro – essere superata solo all’esito di accertamenti di regola compiuti una volta che l’esecuzione della pena abbia avuto inizio.
[…]
8.1. – […] La riforma del 2022 ha, con nettezza, inteso configurare le pene sostitutive come autentiche pene, destinate come tali ad arricchire gli strumenti sanzionatori a disposizione del giudice della cognizione per realizzare le funzioni proprie della sanzione penale. Ciò si desume anzitutto dall’introduzione, nel Libro I del codice penale, del nuovo art. 20-bis, che espressamente le elenca, così completando il novero delle pene principali e accessorie già indicate negli articoli precedenti del Capo I del Titolo II (dedicato, appunto, alle pene) del Libro I del codice penale.
[…]
Tutto ciò in coerenza con la preziosa indicazione dello stesso art. 27, terzo comma, Cost., che ragiona di «pene» al plurale: stimolando così il legislatore a sperimentare forme di reazione sanzionatoria diverse – e in ipotesi più conformi tanto al senso di umanità, quanto alla funzione rieducativa – rispetto alla tradizionale pena carceraria.
Se, però, le pene sostitutive sono a tutti gli effetti delle pene, […] non può disconoscersi al legislatore un’ampia discrezionalità nella determinazione dei limiti oggettivi entro i quali l’applicazione di tali pene sia possibile per il giudice; limiti oggettivi che, a loro volta, ben possono essere individuati tramite la fissazione di una soglia massima di pena detentiva entro la quale la sua sostituzione è ammissibile, così come mediante l’indicazione di reati per i quali la sostituzione può essere o, viceversa, non può essere operata – e sempre che, rispetto alle esclusioni obiettive previste per taluni reati, la scelta del legislatore non risulti manifestamente irragionevole, creando insostenibili disparità di trattamento, né conduca, comunque, a risultati manifestamente sproporzionati.
[…]
8.3. – […] La valutazione da parte del giudice dell’assenza di pericolo di recidiva ai fini della sostituzione della pena detentiva non è, nell’ottica del legislatore, il contenuto di un diritto di cui sia titolare qualsiasi condannato. Un tale diritto spetta, invece, ai soli condannati per i reati per i quali il legislatore – in base a una valutazione discrezionale non manifestamente irragionevole – ha previsto la possibilità per il giudice di irrogare, in luogo della pena detentiva già commisurata, una pena sostitutiva. Quest’ultima, dunque, può essere legittimamente prevista e applicata per taluni reati e non per altri, così come accade per ogni altra pena prevista dall’ordinamento penale, in base a valutazioni politico-criminali che possono essere censurate da questa Corte soltanto ove producano irragionevoli disparità di trattamento, o risultati comunque contrari ai principi di ragionevolezza e proporzionalità.
8.4. – Sostanzialmente per le medesime ragioni non è condivisibile l’argomento, svolto da entrambi i rimettenti, secondo cui la disposizione censurata creerebbe irragionevoli disparità di trattamento tra imputati condannati alla medesima pena detentiva soltanto in base al diverso titolo di reato. Come poc’anzi osservato, il titolo di reato costituisce, in realtà, un idoneo criterio discretivo – del resto, ampiamente utilizzato dal legislatore – per stabilire quale sia il campo di applicazione di una pena anziché di un’altra.
[…]
9.3. – Tutto ciò non esclude che l’ampliamento del novero delle pene sostitutive e il deciso allargamento delle possibilità di accedervi realizzato con la riforma del 2022 costituisca un passo significativo nella direzione dell’inveramento, da parte dello stesso legislatore, dell’insieme dei principi costituzionali in materia di pena. Principi che da sempre sono stati intesi non solo come canoni di legittimità costituzionale delle scelte legislative, ma anche – e ancor prima – come criteri orientativi della politica criminale destinati a essere attuati mediante la dialettica democratica e la costruzione graduale di un consenso nella società, senza il quale essi finirebbero per restare lettera morta.
[…]
Questa evoluzione non può, però, che procedere gradualmente, anche attraverso sperimentazioni progressive […]. E allora, è inevitabile che la sperimentazione coinvolga anzitutto i reati meno gravi, lasciando al margine quelli che il legislatore – con valutazione non arbitraria né discriminatoria – reputi maggiormente offensivi, come indubbiamente sono quelli contestati agli imputati nei processi a quibus.
[1] La sentenza comprende profili ulteriori, che non sono oggetto di questo report.