Materia
Imprese – Appalti – Tributi
Tipologia di decisione
Sentenza di rigetto
Oggetto della q.l.c.
Art. 80, co. 4, decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici)
Parametri
Art. 3 Cost.
Massima
- Non è incostituzionale l’esclusione dalla partecipazione ad una procedura di appalto in caso di violazioni definitivamente accertate rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse superiori a 5.000 euro. Tale previsione, infatti, oltre ad essere coerente col diritto eurounitario, è idonea e proporzionata rispetto al perseguimenti di scopi meritevoli di tutela, quali la tutela della concorrenza, l’adempimento degli obblighi fiscali, il buon andamento della P.A.
Moniti/Inviti al legislatore
- Pur senza ammonire esplicitamente il legislatore, la pronuncia riserva a quest’ultimo, nell’osservanza delle norme dell’Unione europea, il compito di valutare l’opportunità di prevedere una diversa soglia di esclusione per le violazioni fiscali definitivamente accertate. Prospetta, altresì, l’opportunità di non escludere dalla partecipazione alla gara l’operatore economico che abbia commesso una violazione di importo superiore alla soglia di rilevanza, qualora provveda a pagare tempestivamente il debito fiscale rimasto inadempiuto.
Profili d’interesse
- In relazione all’eccezione di inammissibilità proposta dall’Avvocatura dello Stato, facente leva sul vuoto di tutela che si creerebbe a seguito di un’eventuale pronuncia di incostituzionalità e nell’attesa di un nuovo intervento legislativo, la Consulta ricorda che, in linea con la propria giurisprudenza, l’assenza di una soluzione a rime obbligate non è preclusiva di per sé sola dell’esame nel merito delle censure.
- La sentenza, nel ricostruire il quadro normativo di riferimento, fa emergere l’incidenza del diritto dell’Unione europea sulla disciplina nazionale, che è mutata notevolmente a seguito dell’adozione della direttiva 2014/24/UE, rispetto alla cui attuazione la Commissione europea, nel 2019, ha addirittura avviato una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano.
- La pronuncia ricostruisce i principi espressi dalla stessa giurisprudenza costituzionale avuto riguardo ai canoni di ragionevolezza e proporzionalità.
- La Corte ha ritenuto la decisione del legislatore (di fissare a 5.000 euro l’importo a partire dal quale subentra l’esclusione dalla partecipazione ad una procedura di apparto) proporzionata, in quanto la soglia richiamata esprime un certo grado di significatività del debito fiscale, al di sopra del quale il legislatore medesimo nella sua discrezionalità ha valutato di non consentire la partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici.
- La misura di cui sopra è stata ritenuta anche non manifestamente irragionevole, in quanto essa contempera l’esigenza di trattare con estrema severità, come richiesto dalle norme europee, i concorrenti che hanno commesso violazioni fiscali definitivamente accertate con la possibilità di consentire loro la partecipazione a fronte di violazioni di importo non significativo.
Precedenti connessi
Sulla libertà di individuazione della pronuncia più idonea alla reductio ad legitimitatem della disposizione censurata e, più in generale, sulla libertà di intervento della Corte
- C. cost., sentenza 22 marzo 2024, n. 46;
- C. cost., sentenza 8 febbraio 2024, n. 12;
- C. cost., sentenza 14 dicembre 2023, n. 221;
- C. cost., sentenza 14 aprile 2022, n. 95;
- C. cost., sentenza 1° febbraio 2022, n. 28;
- C. cost., sentenza 13 aprile 2021, n. 63;
- C. cost., sentenza 26 marzo 2021, n. 48;
- C. cost., sentenza 26 novembre 2020, n. 252;
- C. cost., sentenza 27 ottobre 2020, n. 224;
- C. cost., sentenza 19 aprile 2019, n. 99;
- C. cost., sentenza 8 marzo 2019, n. 40;
- C. cost., sentenza 7 dicembre 2018, n. 233;
- C. cost., sentenza 5 dicembre 2018, n. 222.
Sui canoni di ragionevolezza e proporzionalità
- C. cost., sentenza 24 gennaio 2023, n. 5;
- C. cost., sentenza 26 luglio 2022, n. 195;
- C. cost., sentenza 25 luglio 2022, n. 188;
- C. cost., sentenza 19 maggio 2022, n. 125;
- C. cost., sentenza 21 febbraio 2019, n. 20;
- C. cost., sentenza 11 gennaio 2019, n. 6;
- C. cost., sentenza 13 gennaio 2014, n. 1;
- C. cost., sentenza 11 ottobre 2000, n. 416.
Estratto della motivazione
2. – […] La difesa dello Stato, dunque, da un lato dubita dell’utilità del tipo di soluzione prescelta dal rimettente (una sentenza additiva di principio) allo scopo di risolvere la controversia che gli è stata sottoposta, dall’altro sostiene che l’intervento richiesto provocherebbe, fino all’adozione di una nuova disciplina legislativa sul punto, un vuoto di tutela non consentito.
Quanto al primo aspetto, concernente la richiesta di una pronuncia additiva di principio, si rammenta che il petitum dell’ordinanza di rimessione ha la funzione di chiarire il contenuto e il verso delle censure mosse dal giudice rimettente, ma non vincola questa Corte, che, «ove ritenga fondate le questioni, rimane libera di individuare la pronuncia più idonea alla reductio ad legitimitatem della disposizione censurata (sentenza n. 221 del 2023, punto 4 del Considerato in diritto; in senso conforme, più di recente, sentenza n. 12 del 2024, punto 8 del Considerato in diritto)» (così, tra le più recenti, la sentenza n. 46 del 2024).
Avuto riguardo al secondo aspetto, relativo al paventato vuoto di tutela che si creerebbe nell’attesa dell’intervento del legislatore, questa Corte, in sintonia con la propria recente giurisprudenza, rileva che ai fini dell’ammissibilità del giudizio è sufficiente «la presenza nell’ordinamento di una o più soluzioni “costituzionalmente adeguate”, che si inseriscano nel tessuto normativo coerentemente con la logica perseguita dal legislatore (ex plurimis, sentenze n. 28 del 2022, n. 63 del 2021, n. 252 e n. 224 del 2020, n. 99 e n. 40 del 2019, n. 233 e n. 222 del 2018)» (sentenza n. 95 del 2022), mentre «l’assenza di una soluzione a rime obbligate non è preclusiva di per sé sola dell’esame nel merito delle censure» (sentenza n. 48 del 2021).
[…]
4. – [M]entre nella pregressa disciplina dettata dal legislatore europeo l’esclusione dalle gare, per qualsiasi tipo di violazione degli obblighi fiscali, era rimessa alla scelta degli Stati, la direttiva 2014/24/UE distingue le violazioni degli obblighi fiscali definitivamente accertate da quelle non definitivamente accertate. All’interno di questa dicotomia impone agli Stati membri di prevedere l’esclusione automatica dalle gare solo per le violazioni definitivamente accertate, per le quali la direttiva consente di introdurre una deroga all’obbligo di esclusione, qualora essa sia «chiaramente sproporzionata», in particolare per il mancato pagamento di «piccoli importi di imposte» (ancora art. 57, paragrafo 3, secondo periodo).
[I]l decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 […], che ha sostituito il d.lgs. n. 50 del 2016[,] regola, agli artt. 94 e 95, la causa di esclusione derivante dalla violazione di obblighi fiscali, in maniera sostanzialmente identica alla disposizione in esame. Tuttavia, tale disposizione continua ad applicarsi, ai sensi dell’art. 226, comma 2, del d.lgs. n. 36 del 2023 ratione temporis, in quanto nel giudizio a quo si controverte di una procedura di gara già bandita al momento dell’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici.
5. –[S]ono tre le condizioni richieste per il superamento del test di proporzionalità: che l’imposizione di oneri sia idonea rispetto ai fini perseguiti; che venga scelta la misura meno restrittiva dei diritti oggetto di bilanciamento; che tali oneri non siano sproporzionati.
Il test si considera invece non superato, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost., quando – a fronte dell’esigenza di porre in essere un bilanciamento tra i diritti antagonisti – si realizza una «manifesta sproporzione del congegno normativo approntato rispetto al perseguimento dei fini legittimamente perseguiti, almeno ove applicato, senza alcuna differenziazione» (così sempre la sentenza n. 20 del 2019).
6. – Così ricostruiti i tratti normativi e giurisprudenziali di riferimento, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 4, secondo periodo, del d.lgs. n. 50 del 2016, sollevata dal Consiglio di Stato in riferimento all’art. 3 Cost., non è fondata. […]
[L]’esclusione dell’operatore che ha commesso gravi violazioni definitivamente accertate degli obblighi fiscali ha lo scopo di assicurare l’integrità, la correttezza e l’affidabilità dei concorrenti con cui l’amministrazione è chiamata a contrattare nonché quello di indurre indirettamente gli operatori economici ad assolvere ai propri obblighi fiscali integralmente e nei tempi di legge (Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenze 23 febbraio 2023, n. 1890 e 27 luglio 2021, n. 5563).
La deroga all’esclusione […] opera nel caso in cui il debito fiscale sia inferiore [a] 5.000 euro. La determinazione di tale importo fisso risponde a un duplice obiettivo: da un lato, garantire la massima partecipazione alle gare di appalto, evitando l’esclusione di operatori economici che hanno commesso violazioni fiscali “bagatellari”; dall’altro, favorire la par condicio tra i partecipanti alle gare, ancorando a un importo predefinito l’esclusione dalla gara […].
La disposizione censurata persegue anche finalità di tutela della concorrenza, in quanto garantisce la “parità delle armi” degli operatori economici, che sanno di poter confidare nella esclusione dalla gara del concorrente che non ha adempiuto correttamente agli obblighi fiscali[,] coerentemente con la giurisprudenza europea […].
Dunque, la misura in esame si rivela idonea allo scopo.
7. – La misura è altresì necessaria, tenuto conto: dell’obbligo, imposto dalla direttiva 2014/24/UE, di escludere l’operatore economico che ha commesso una violazione fiscale definitivamente accertata; della circostanza che il legislatore nazionale ha esercitato una deroga, muovendosi all’interno delle strette maglie fissate dalla disciplina comunitaria, la quale mostra un chiaro disfavore per la possibilità di consentire l’accesso alle gare dell’operatore economico che ha debiti fiscali, tranne il caso del mancato pagamento di «piccoli importi di imposte» (art. 57, paragrafo 3, della direttiva).
8. – Quanto alla proporzionalità in senso stretto della misura, si rileva che l’importo di 5.000 euro […] esprime un certo grado di significatività del debito fiscale, al di sopra del quale il legislatore nella sua discrezionalità ha ritenuto di non consentire la partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici.
9. – La misura, infine, si rivela non manifestamente irragionevole, in quanto essa contempera l’esigenza di trattare con estrema severità, come richiesto dalle norme europee, i concorrenti che hanno commesso violazioni fiscali definitivamente accertate con la possibilità di consentire loro la partecipazione a fronte di violazioni di importo non significativo.
[…]
11. – Spetta al legislatore, nell’osservanza delle norme dell’Unione europea, valutare l’opportunità di prevedere una diversa soglia di esclusione per le violazioni fiscali definitivamente accertate, in modo da perseguire con maggiore efficacia l’obiettivo di garantire la più ampia partecipazione possibile degli operatori economici alle gare per l’affidamento di appalti pubblici.
Spetta altresì al legislatore, nella misura in cui ciò corrisponda alle esigenze del buon andamento dell’amministrazione, considerare la possibilità di non escludere dalla partecipazione alla gara l’operatore economico che abbia commesso una violazione di importo superiore alla soglia di rilevanza, qualora provveda a pagare tempestivamente il debito fiscale rimasto inadempiuto.