Sentenza n. 137/2025

28 Luglio 2025
Sull'utilizzabilità processuale degli elementi informativi non trasmessi o non consegnati dal contribuente

Testo

Materia

Tributi

Tipologia di decisione

Sentenza interpretativa di rigetto[1]

Oggetto della q.l.c.

Art. 32, co. 3 e 4 (recte: co. 4 e 5), decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi)

Parametri

Art. 24, co. 2, Cost. – Art. 25 Cost. – Art. 111, co. 1, Cost. – Artt. 10 e 117, co. 1, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU, agli artt. 8, 10 e 11 della Dichiarazione universale dei diritti umani, agli artt. 47 e 48 CDFUE ed all’art. 14, comma 3, lettera g), PDCP

Massima

  • Il dovere tributario, nella concezione costituzionale, afferisce al pactum unionis piuttosto che a quello subiectionis, per cui solo attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata, che ne restringe fortemente la portata applicativa, la previsione dell’inutilizzabilità processuale degli elementi informativi non trasmessi o non consegnati dal contribuente su richiesta dell’amministrazione finanziaria, ritrova una sua vocazione compatibile con il disegno costituzionale, essendo funzionale a favorire un dialogo anticipato, pre-contenzioso, fra le parti e quella reciproca correttezza di rapporti tra pubblica autorità e contribuenti che è presupposto di ogni civile convivenza.

Profili d’interesse

  • La sentenza rileva l’incidenza del diritto vivente sulle disposizioni censurate, che è tale da averne recuperato una maggiore rispondenza ai principi costituzionali.
  • La Corte rievoca la giurisprudenza costituzionale con la quale ha sindacato la ragionevolezza e proporzionalità del bilanciamento operato dal legislatore su sanzioni del tipo di quelle oggetto di censura.
  • La pronuncia tiene ferma la discrezionalità legislativa nella definizione del sistema tributario che, tuttavia, deve pur sempre rimanere ancorato al complesso dei principi e dei relativi bilanciamenti che la Costituzione prevede e consente, tra cui il rispetto del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.).

Precedenti connessi[2]

Sulla verifica della ragionevolezza e proporzionalità del bilanciamento operato dal legislatore in riferimento a sanzioni del tipo di quelle oggetto di censura

Estratto della motivazione

3.2. – […] si è avviato un processo di tendenziale allineamento interpretativo tra la previsione dell’art. 32, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, e quella contenuta nell’art. 52, quinto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto) che, in caso di accessi, ispezioni e verifiche, prevede l’operare di un analogo effetto di inutilizzabilità della documentazione «di cui è rifiutata l’esibizione», e che ha, quindi, quale presupposto il «dolo» del contribuente (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 25 febbraio 2000, n. 45).

Si tratta di un allineamento necessario, poiché non è ragionevole ritenere che le due ipotesi normative, in fondo differenziate solo per la modalità della verifica (a seguito dei controlli a tavolino dell’amministrazione finanziaria o presso la sede del contribuente), abbiano presupposti applicativi diversi l’una dall’altra.

4. – Una volta chiarito che le disposizioni censurate sono state interpretate dal diritto vivente in modo da recuperarne una maggiore rispondenza ai principi costituzionali, al fine di valutare la sufficienza del complessivo assetto così raggiunto a escludere il contrasto con i parametri evocati, deve essere considerata la natura della misura in oggetto, che si configura in termini qualificati dalla dottrina come una “sanzione impropria”.

[…]

5. – La giurisprudenza costituzionale, salvo qualche eccezione (tra cui sentenze n. 140 del 2022 – questa, in realtà, sugli oneri fiscali condizionanti l’accesso alla tutela giurisdizionale –, n. 338 del 2011 e n. 103 del 1967), ha ravvisato, al ricorrere di particolari requisiti, la non illegittimità costituzionale di tale tipo di sanzioni (sentenze n. 186 del 1982, n. 121 del 1982 e n. 201 del 1970; ordinanze n. 246 del 1993 e n. 385 del 1989).

Il sindacato di questa Corte si è, in sostanza, rivolto alla verifica in termini di ragionevolezza e di proporzionalità del bilanciamento operato dal legislatore, con una valutazione calibrata a seconda della specificità e della portata delle norme censurate e delle esigenze poste a giustificazione delle stesse.

[…]

6. – […] È proprio da questo legame tra diritti e doveri, «anche in forza della funzione redistributiva dell’imposizione fiscale e del nesso funzionale con l’art. 3, secondo comma, Cost., che discende la riconducibilità del dovere tributario al crisma dell’inderogabilità di cui all’art. 2 Cost., che rende, oltretutto, di immediata evidenza come il disattenderlo rechi pregiudizio non a risalenti paradigmi ma in particolare al suddetto sistema dei diritti».

È quindi radicalmente cambiata la prospettiva rispetto al passato pre-costituzionale: quel che sta al centro non è più tanto lo Stato e il potere tributario, o addirittura la forza e l’arroganza del fisco, ma altre categorie concettuali che attengono alla persona situata dentro la comunità, ai rapporti che derivano dai legami sociali in cui è immersa, ai vincoli di solidarietà che ne conseguono e che spetta al legislatore definire, ispirandosi alla progressività e nel rispetto della capacità contributiva.

6.1. – È intorno a questi principi che ruotano i richiami, già operati da questa Corte, alla collaborazione nei rapporti tra l’amministrazione finanziaria e il privato, quando «siano in gioco gli obblighi di solidarietà politici, economici e sociali (art. 2 della Costituzione), tra i quali quelli in materia tributaria» (sentenza n. 351 del 2000) e al fatto che «il legislatore può, nella sua discrezionalità, dettare misure atte a prevenire l’inosservanza dei doveri di lealtà e correttezza da parte del contribuente, purché non risultino superati i limiti della ragionevolezza» (ordinanza n. 246 del 1993).

Si tratta, in definitiva, di una prospettiva in cui, dato appunto il legame tra doveri e diritti, le ragioni del fisco possono tendere a non risultare più estranee e contrapposte a quelle del contribuente.

Ciò tuttavia richiede, per inverarsi, il rispetto di una duplice condizione.

Innanzitutto, sul piano legislativo, occorre che «il sistema tributario rimanga saldamente ancorato al complesso dei principi e dei relativi bilanciamenti che la Costituzione prevede e consente, tra cui, appunto, il rispetto del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.). Sicché quando il legislatore disattende tali condizioni, si allontana dalle altissime ragioni di civiltà giuridica che fondano il dovere tributario: in queste ipotesi si determina un’alterazione del rapporto tributario, con gravi conseguenze in termini di disorientamento non solo dello stesso sviluppo dell’ordinamento, ma anche del relativo contesto sociale» (ancora sentenza n. 288 del 2019).

[…]

7.1. – Si palesa quindi l’esigenza di un’interpretazione costituzionalmente orientata laddove l’art. 32, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 si riferisce alle «notizie», ai «dati», agli «atti», ai «documenti», ai «libri» e ai «registri» che «non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente».

In particolare, si deve ritenere, valorizzando l’espressione utilizzata dal legislatore, che la preclusione probatoria operi solo per gli elementi informativi che hanno un contenuto univocamente «a favore del contribuente», da intendersi come quelli che, ove immediatamente consegnati, avrebbero potuto impedire un accertamento ovvero ridurre la portata dell’eventuale pretesa dell’amministrazione finanziaria.

Devono, pertanto, essere esclusi dall’ambito applicativo della sanzione dell’inutilizzabilità quegli elementi informativi che rivestono (ad esempio, un registro in cui figurassero anche annotazioni contra se) un contenuto, per così dire, misto, ovvero anche parzialmente suscettibile di produrre effetti sfavorevoli per il contribuente.

È solo all’interno di questi confini che si giustifica, superando gli specifici profili di illegittimità costituzionale evocati dal rimettente, la portata delle norme censurate, che risultano allora rivolte a spingere il contribuente a cooperare all’attività dell’amministrazione finanziaria, nell’ambito di una lealtà espressiva di una convergenza di interessi alla corretta determinazione dell’obbligazione tributaria; tutto il meccanismo normativo risulta infatti funzionale a evitare, anche con scopo deflattivo, l’istaurazione di un giudizio tributario non necessario (sull’ampia discrezionalità del legislatore in materia processuale e sulla finalità di deflazionare il contenzioso tributario, si veda, da ultimo, sentenza n. 36 del 2025).


1 La sentenza prende in considerazione anche profili che non sono oggetto di questo report.

2 La sentenza ricostruisce parzialmente la giurisprudenza di legittimità formatasi in materia, la quale non è oggetto di questo report.

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