Sentenza n. 113/2025

18 Luglio 2025
Sul trattamento sanzionatorio del reato di sequestro di persona a scopo di estorsione

Testo

Materia

Reati – Pene

Tipologia di decisione

Sentenza di rigetto

Oggetto della q.l.c.

Art. 630, co. 1 c.p.

Parametri

Art. 3 Cost. – Art. 27, co. 3, Cost. – Artt. 11 e 117 Cost., in relazione all’art. 49, § 3 CDFUE 

Massima

  • Non è incostituzionale la pena della reclusione da venticinque a trent’anni prevista per il sequestro di persona a scopo di estorsione, perché il giudice dispone di vari strumenti per adeguare la risposta sanzionatoria alla concreta gravità del fatto, in conformità al principio costituzionale di proporzionalità della pena.

Profili d’interesse

  • Richiamando la costante giurisprudenza costituzionale, dalla pronuncia emerge con evidenza l’ampia discrezionalità di cui gode il legislatore nella soluzione delle condotte punibili e nella determinazione delle relative cornici edittali, sempreché sia rispettato il principio di proporzionalità.
  • Già nel 2012, la Corte aveva ritenuto manifestamente sproporzionata la pena minima di venticinque anni di reclusione nel caso di sequestri estorsivi di minore entità, e aveva pertanto introdotto la possibilità, per il giudice, di ridurre sino a un terzo la pena (dunque, fino a un minimo di sedici anni e otto mesi di reclusione).
  • La Consulta precisa che il principio di legalità vieta di applicare una norma penale oltre i casi da essa previsti, ma rimarca e, anzi, sembra ritenere dirimente ai fini del proprio vaglio di costituzionalità che il giudice può interpretare restrittivamente una disposizione incriminatrice, escludendone l’applicazione ogniqualvolta risulti che il fatto concreto sia del tutto diverso dai fenomeni criminosi che il legislatore aveva inteso colpire con una sanzione così severa.

Precedenti connessi

Sul regime sanzionatorio stabilito dal legislatore per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione

Sui limiti dell’interpretazione restrittiva imposta dalla proporzionalità

Estratto della motivazione

4.1. – [I]l legislatore gode di ampia discrezionalità nella selezione delle condotte punibili e nella determinazione delle relative cornici edittali, entro il limite generale del principio di proporzionalità; principio la cui osservanza, peraltro, deve essere oggetto di un controllo specialmente attento da parte di questa Corte, in ragione della necessaria incidenza delle scelte di criminalizzazione sulla libertà personale e su numerosi altri diritti fondamentali dei destinatari dei precetti penali (sentenze n. 74 del 2025, punto 6.1. del Considerato in diritto; n. 46 del 2024, punto 3.1. del Considerato in diritto).

Come accade per ogni altro principio costituzionale, tuttavia, il principio di proporzionalità non costituisce soltanto criterio a disposizione di questa Corte per il controllo della legittimità costituzionale delle leggi. Esso opera infatti, al tempo stesso, come criterio che orienta l’interpretazione e l’applicazione delle leggi medesime da parte del giudice comune.

Ciò è pacificamente riconosciuto – dalla giurisprudenza di questa Corte così come da quella di legittimità – in relazione ai principi costituzionali di necessaria offensività e di colpevolezza, radicati rispettivamente sugli artt. 25, secondo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost.

Con riguardo al primo principio, si afferma ormai da decenni che il giudice penale è tenuto ad assicurare un’interpretazione costituzionalmente orientata di ogni norma incriminatrice, e pertanto a espungere dall’area della rilevanza penale quelle condotte concrete che, pur se riconducibili alle espressioni linguistiche utilizzate nella formulazione della fattispecie astratta, non sono suscettibili di ledere il bene giuridico tutelato, rivelandosi così in radice inoffensive rispetto ad esso […].

In applicazione di tale principio, questa Corte ha ad esempio rammentato […] che – anche rispetto alle fattispecie configurate dal legislatore secondo il modello del reato di pericolo “presunto”, come il delitto di porto di strumenti atti a offendere – «il giudice deve escludere la punibilità di fatti pure corrispondenti alla formulazione della norma incriminatrice, quando alla luce delle circostanze concrete manchi ogni (ragionevole) possibilità di produzione del danno», valutata anche in rapporto alle concrete condizioni spazio-temporali in cui la condotta si svolge (sentenza n. 139 del 2023, punto 4.2. del Considerato in diritto).

Con riguardo al secondo principio, la sentenza n. 322 del 2007 ha sottolineato che «il principio di colpevolezza – quale delineato dalle sentenze n. 364 e n. 1085 del 1988 di questa Corte – si pone non soltanto quale vincolo per il legislatore, nella conformazione degli istituti penalistici e delle singole norme incriminatici; ma anche come canone ermeneutico per il giudice, nella lettura e nell’applicazione delle disposizioni vigenti» (punto 4.1. del Considerato in diritto). […]

[I] principi costituzionali operano, entro il perimetro segnato dal testo, come criteri che guidano l’attività ermeneutica del giudice, sì da evitare risultati applicativi in contrasto con la Costituzione, come la punizione di una condotta radicalmente inoffensiva, ovvero di una condotta del tutto incolpevole.

Ciò non può non valere anche per il principio di proporzionalità della pena, che mira ad assicurare che la reazione sanzionatoria a un fatto di reato, pur offensivo del bene giuridico e colpevolmente realizzato, non risulti eccessiva rispetto alla concreta gravità oggettiva e soggettiva del fatto […]

4.2. – La sentenza n. 68 del 2012 di questa Corte è già intervenuta a mitigare la rigidità del regime sanzionatorio stabilito dal legislatore per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, definito in quella pronuncia come di «eccezionale asprezza» (punto 3 del Considerato in diritto).

[…]

La Corte ha, allora, giudicato «manifestamente irrazionale – e dunque lesiva dell’art. 3 Cost. – la mancata previsione, in rapporto al sequestro di persona a scopo di estorsione, di una attenuante per i fatti di lieve entità, analoga a quella [prevista dall’art. 311 cod. pen.] applicabile alla fattispecie “gemella”» del sequestro di persona a scopo di terrorismo e di eversione di cui all’art. 289-bis cod. pen., che pure aggredisce, ceteris paribus, interessi di rango giuridico anche più elevato di quelli protetti dall’art. 630 cod. pen. (punto 5 del Considerato in diritto).

[…]

4.4. – Il dovere di interpretazione restrittiva della fattispecie legale alla luce del principio costituzionale di proporzione della pena non si pone in contrasto con il principio di legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost.

Il principio di legalità dei reati e delle pene vieta bensì al giudice di applicare la legge penale oltre i casi da essi contemplati, e dunque – come questa Corte ha avuto modo di rammentare – di «riferire la norma incriminatrice a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei suoi possibili significati letterali»; significati che costituiscono «un limite insuperabile rispetto alle opzioni interpretative a disposizione del giudice di fronte al testo legislativo» (sentenza n. 98 del 2021, punto 2.4. del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza n. 107 del 2025, punto 7 del Considerato in diritto).

La ratio garantistica del principio – posto a tutela, in primis, della libertà della persona e della sicurezza delle sue libere scelte di azione – non si oppone, però, a che il giudice possa (e talvolta debba) interpretare restrittivamente una disposizione incriminatrice, escludendone l’applicazione allorché sia chiaro che il suo testo plus dixit quam voluit: ogniqualvolta, cioè, la sussunzione del fatto concreto nella fattispecie astratta sia preclusa dall’interpretazione corretta di quest’ultima, imposta dal suo rapporto con la pena prevista dal testo normativo, alla luce del principio costituzionale di proporzionalità della pena.

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