Sentenza n. 135/2025

28 Luglio 2025
Sul limite alla retribuzione dei dipendenti pubblici

Testo

Materia

Magistratura – P.A. – Salari

Tipologia di decisione

Sentenza di accoglimento sostitutiva[1]

Oggetto della q.l.c.

Art. 23-ter, co. 1, decreto-legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, in legge 22 dicembre 2011, n. 214 – Art.  13, co. 1, decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, in legge 23 giugno 2014, n. 89

Parametri

Art. 104, co. 4 Cost. – Art. 108, co. 2, Cost.

Massima

  • Pur non essendo di per sé illegittima la previsione di un “tetto retributivo” per i magistrati e, in generale, i pubblici dipendenti, la sua fissazione nel limite di 240.000,00 euro lordi è divenuta incostituzionale per effetto del mancato aggiornamento da parte del legislatore, che ne ha estinto l’originario carattere di temporaneità. Nelle more di un intervento legislativo, come soglia massima deve, quindi, assumersi la retribuzione complessiva del Primo presidente della Corte di cassazione, in quanto la più elevata nel settore del pubblico impiego.

Moniti/Inviti al legislatore

  • La Corte precisa che la propria decisione non osta a un successivo intervento del legislatore, che si confronti con le attuali criticità del limite massimo retributivo, al fine di adottare, nella sua discrezionalità, anche soluzioni diverse conseguenti ad una valutazione ponderata degli effetti di lungo periodo della disposizione censurata, in un quadro di politiche economiche e sociali in perenne evoluzione.

Profili d’interesse

  • La Corte opera un vaglio puntuale sui risparmi di spesa generati dalla disciplina censurata.
  • La sentenza fa seguito ad una pronuncia di “ancora costituzionalità”, cui però il legislatore non ha dato seguito.
  • La Corte, pur apprezzando l’incostituzionalità – coerentemente con i fatti del giudizio principale – in riferimento alla figura dei componenti togati degli organi di autogoverno della magistratura, equipara al rialzo il tetto di tutte le retribuzioni percepite dai dipendenti pubblici.

Precedenti connessi

Sull’adeguata retribuzione dei magistrati come garanzia di autonomia e indipendenza

Sulla legittimità costituzionale della disposizione in via provvisoria

Sul margine discrezionale in materia di retribuzione dei dipendenti pubblici

Estratto della motivazione

4.3. – Analoga esigenza di tutela della retribuzione delle magistrature è avvertita a livello eurounitario. In modo molto netto sul punto si è espressa la Corte di giustizia dell’Unione europea, grande sezione, [ha] specificato che nella retribuzione dei giudici devono essere «presi in considerazione, oltre allo stipendio ordinario di base, i diversi premi e indennità che essi percepiscono, in particolare a titolo dell’anzianità o delle funzioni loro affidate», ma soprattutto [ha] escluso che il legislatore possa diminuire in modo stabile quel complessivo trattamento retributivo. In particolare, per la Corte di Lussemburgo sono possibili deroghe in peius del trattamento retributivo dei magistrati, ma affinché siano compatibili con il diritto dell’Unione esse devono soddisfare un certo numero di requisiti. Per ciò che qui interessa, la deroga deve essere «necessaria e strettamente proporzionata al conseguimento [dell’obiettivo di interesse generale], il che presuppone che essa rimanga eccezionale e temporanea».

Nella stessa prospettiva, la Corte di giustizia ha altresì riconosciuto alle autorità amministrative indipendenti una indipendenza funzionale volta a impedire qualsivoglia forma di influenza diretta o indiretta che possa rischiare di incidere sullo svolgimento delle loro attività […].

4.5. – Questa Corte, nell’escludere l’illegittimità costituzionale dell’estensione al personale di magistratura di misure generali di riduzione della spesa pubblica, ha tuttavia specificato che «[a]llorquando la gravità della situazione economica e la previsione del suo superamento non prima dell’arco di tempo considerato impongano un intervento sugli adeguamenti stipendiali, anche in un contesto di generale raffreddamento delle dinamiche retributive del pubblico impiego, tale intervento non potrebbe sospendere le garanzie stipendiali oltre il periodo reso necessario dalle esigenze di riequilibrio di bilancio» (sentenza n. 223 del 2012).

Tale regola, che impone una necessaria temporaneità di questo genere di misure ove estese alla magistratura, è condivisa, come chiarito, dal diritto dell’Unione e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

Nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale che sono state in passato sollevate, quanto al massimale retributivo, con riferimento al principio di indipendenza della magistratura, questa Corte si è pronunciata in un momento in cui non erano ancora maturate ragioni sufficienti, a tre anni dall’entrata in vigore della norma, per ritenere che l’art. 13, comma 1, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, avesse illegittimamente compresso in modo permanente, e non solo in via temporanea, il livello retributivo della magistratura, incidendo su quello del primo presidente della Cassazione (sentenza n. 124 del 2017).

Tale conclusione non può essere ora confermata, a distanza di oltre dieci anni dall’adozione della disposizione censurata e nell’ambito di un contesto normativo e fattuale del tutto differente.

[…]

4.8. – […] Il legislatore […] ha ritenuto di poter conseguire apprezzabili risparmi, prevedendo che il dipendente pubblico non possa trattenere emolumenti a carico della finanza pubblica, pur legittimamente percepiti, oltre il massimale individuato dalla legge e ha disposto che quanto corrisposto in eccesso confluisca presso il Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato (art. 23-ter, comma 4, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito).

Tale previsione, in linea di principio, non è costituzionalmente censurabile, perché «[n]el settore pubblico non è precluso al legislatore dettare un limite massimo alle retribuzioni e al cumulo tra retribuzioni e pensioni, a condizione che la scelta, volta a bilanciare i diversi interessi coinvolti, non sia manifestamente irragionevole» (sentenza n. 124 del 2017).

Questa Corte ha in effetti già posto in luce (sentenze n. 128 e n. 27 del 2022 e n. 124 del 2017) talune criticità che la disciplina censurata può generare in riferimento a plurimi precetti costituzionali: quali quelli desumibili dall’art. 3 Cost. sulla parità di trattamento; dall’art. 36, primo comma, Cost. sul diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto e comunque idonea a garantire un’esistenza libera e dignitosa; dall’art. 38, secondo comma, Cost. sul diritto a un’adeguata tutela previdenziale; dall’art. 97 Cost. sul buon andamento della pubblica amministrazione (ancora sentenza n. 124 del 2017).

Norme poste a garanzia di interessi di rilievo che il legislatore è tenuto a considerare, mentre individua il non irragionevole punto di equilibrio tra essi e la finalità di contenimento della spesa pubblica.

[…]

5. – [L]a dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 1, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, nella parte in cui ricomprende nel “tetto retributivo” le indennità di carica per i componenti togati degli organi di governo autonomo, risulterebbe eccedente rispetto alla necessità di sanare il vizio riscontrato, perché il legislatore ha discrezionalità nel determinare quali emolumenti vadano inclusi nella base di calcolo e quali no.

L’indennità di funzione dei membri degli organi di governo autonomo delle magistrature gode senza dubbio della medesima protezione costituzionale delle retribuzioni dei magistrati, perché l’azione di tali organi preserva l’indipendenza esterna di costoro. Ma rientra nella discrezionalità del legislatore optare per un “tetto” onnicomprensivo, includendo in esso ogni forma di retribuzione, emolumento o indennità, purché, come chiarito, siano preservati il trattamento retributivo dei magistrati e le indennità collegate alle loro funzioni.

[…]

Il solo modo per rimediare al vulnus, considerata la decisione del legislatore di introdurre una soglia massima relativa all’intera pubblica amministrazione senza differenziare per categorie, è, dunque, quello di incidere sulla quantificazione del tetto. Quest’ultimo non può legittimamente comportare, infatti, una duratura diminuzione della retribuzione di alcun magistrato e, a questo fine, deve necessariamente essere commisurato alla retribuzione complessiva del primo presidente della Corte di cassazione, cioè del magistrato in ruolo di livello più elevato, che rappresenta il parametro per l’individuazione del “tetto retributivo” da parte di un d.P.C.m., previo parere delle competenti commissioni parlamentari.

La fissazione di un limite inferiore comporterebbe invero, con la decurtazione del trattamento economico in via definitiva di alcuni magistrati, una violazione degli artt. 101, secondo comma, 104, primo comma, e 108, secondo comma, Cost.

Per quanto concerne invece il perimetro soggettivo dell’illegittimità costituzionale della norma in esame, avendo il legislatore adottato una scelta normativa a carattere generale e senza operare alcuna distinzione tra le diverse categorie di lavoratori che ricevono una retribuzione o un compenso dalla pubblica amministrazione, l’annullamento della disciplina scrutinata non può che riguardare tutte le categorie assoggettate al “tetto”. Resta, infatti, nella discrezionalità del legislatore delimitare il perimetro soggettivo del tetto retributivo, articolandolo per categorie o, come in concreto ha fatto, optando per un tetto generale, applicabile all’intera pubblica amministrazione. Tale scelta, di per sé costituzionalmente legittima, non rende percorribile per questa Corte una dichiarazione di illegittimità della norma in relazione soltanto alla categoria dei magistrati, né essa è imposta dal petitum prospettato dal giudice rimettente, che, per giurisprudenza ormai costante (sentenze n. 12 del 2024, n. 221 del 2023 e, da ultimo, n. 83 del 2025), non vincola in tutti i suoi profili questa Corte, tenuta a ripristinare comunque la legalità costituzionale violata. Osta, peraltro, a tale soluzione la circostanza che la disciplina che deriverebbe da un intervento correttivo di questo tipo non andrebbe ancora esente da aspetti antinomici con norme e principi costituzionali. […]

Ciò non osta a un successivo intervento del legislatore, che si confronti con le attuali criticità, emerse con il passare del tempo, del limite massimo retributivo, al fine di adottare, nella sua discrezionalità, anche «soluzioni diverse» conseguenti «ad una valutazione ponderata degli effetti di lungo periodo» della disposizione censurata, «in un quadro di politiche economiche e sociali in perenne evoluzione» (sentenza n. 27 del 2022) […].


[1] La pronuncia esamina profili ulteriori che non sono oggetto di questo report.

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