Sentenza n. 125/2025

24 Luglio 2025
Sui poteri del commissario per la liquidazione degli usi civici.

Testo

Materia

Usi civici

Tipologia di decisione

Sentenza di inammissibilità

Oggetto della q.l.c.

Art. 29, co. 2, legge 16 giugno 1927, n. 1766 (Conversione in legge del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno, del R. decreto 28 agosto 1924, n. 1484, che modifica l’art. 26 del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del R. decreto 16 maggio 1926, n. 895, che proroga i termini assegnati dall’art. 2 del R. decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751)

Parametri

Art. 24 Cost. – Art. 111 Cost. – Art. 117 Cost., in relazione all’art. 6 CEDU e all’art. 47 CDFUE

Massima

  • Benché l’attribuzione al commissario per la liquidazione degli usi civici del potere di avviare d’ufficio procedimenti i giudiziari soggetti alla sua stessa cognizione sia lesiva del diritto di difesa e del diritto a un giudice terzo e imparziale, tale vulnus non può essere rimosso dalla Corte costituzionale, stante la varietà delle alternative possibili, suscettibili di valutazione solo in sede politica.

Moniti/Inviti al legislatore

  • La Corte rivolge un pressante ed articolato appello al legislatore, affinché appresti una revisione organica della materia, evidenziando le molteplici disarmonie col testo costituzionale ed il pregiudizio  per i cittadini scaturenti dalla disciplina ora vigente.

Profili d’interesse

  • La sentenza rimarca che l’inammissibilità è determinata non già dall’esistenza di un ambito discrezionale riservato al legislatore, bensì dall’impossibilità di costruire per via pretoria un “sistema” protettivo dei domini collettivi, senza esercitare un potere di scelta sostanzialmente politica.
  • La Corte stigmatizza con forza l’inerzia del legislatore, evidenziandone la disarmonia con il dovere costituzionale di leale collaborazione e sottolineando come «la capacità di rispondere ai bisogni dei cittadini costituisc[a] una parte essenziale della sua legittimazione».
  • Trattandosi di inammissibilità riposante su ragioni già esposte da pronunce precedenti, la Corte ben avrebbe potuto adottare un’ordinanza. La scelta della sentenza sembra spiegarsi, quindi, più con la volontà di rivolgere un invito lungo ed articolato al legislatore, anziché con una ravvisata esigenza di motivazione sul merito della questione.
  • Il vulnus denunciato dal remittente (e condiviso dalla Corte) deriva da un’addizione alla disposizione indubbiata operata dalla stessa Corte, con sentenza n. 46/1995.

Precedenti connessi

Sul potere di iniziativa processuale in capo al commissario agli usi civici in riferimento ai giudizi che lo stesso è chiamato a definire in qualità di giudice

Sul contenuto essenziale della Costituzione

Estratto della motivazione

4. – La problematica agitata nell’atto introduttivo del presente giudizio non è ignota a questa Corte, che più volte ha avuto modo di pronunciarsi sul potere di iniziativa processuale in capo al commissario agli usi civici in riferimento ai giudizi che lo stesso è chiamato a definire in qualità di giudice.

[…]

Non è controvertibile che nella giurisprudenza costituzionale si sia costantemente richiamata l’attenzione del legislatore statale sulla dubbia compatibilità della disciplina in questione con il principio costituzionale della terzietà del giudice, ma altrettanto costantemente la – pur insoddisfacente – condizione normativa che ne risultava [per effetto della sentenza C. cost., n. 46/1995] è stata ritenuta preferibile a quella che sarebbe scaturita da una declaratoria di illegittimità costituzionale. Tanto, anche perché […] questa Corte non avrebbe potuto identificare essa stessa, per ovviare al vulnus, una soluzione ispirata a un dato normativo già esistente, tali e tante essendo le alternative astrattamente disponibili che solo il legislatore avrebbe potuto sceglierne una, nell’esercizio della sua discrezionalità politica. Ancorché in via transitoria, dunque, e sino al sopravvenire di una riforma legislativa di sistema, il regime che anche oggi è oggetto di contestazione è stato sempre giustificato in ragione dell’importanza dei beni costituzionali cui doveva considerarsi servente.

[…]

5.2.2. – Né la novella del 1999 né quella del 2022 […] hanno potuto alterare la consistenza dell’insieme dei princìpi fondamentali (supremi), che deve essere pertanto considerato esattamente il medesimo ch’ebbe di fronte la precedente giurisprudenza di questa Corte. La modificazione delle disposizioni che definiscono quei princìpi e la loro evoluzione nella dinamicità del divenire storico sono sempre possibili, ma a condizione ch’essi, come si è detto, non siano «sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale» (sentenza n. 1146 del 1988). Contenuto essenziale che – ovviamente – muterebbe ove l’insieme delimitato dei princìpi fosse a disposizione delle leggi costituzionali o di revisione costituzionale.

[…]

7. – [I]l punto resta oggi il medesimo del passato: trattasi di opzioni che vanno ascritte al legislatore, non ravvisandosi una soluzione costituzionalmente compatibile che assicuri, allo stesso tempo, l’adeguata tutela del bene-ambiente e la corretta articolazione delle funzioni giurisdizionali. L’ostacolo a un intervento di questa Corte non è costituito dall’esistenza di un ambito discrezionale riservato al legislatore, bensì dall’impossibilità di costruire per via di pronuncia costituzionale e senza esercitare scelte politiche un “sistema” protettivo dei domini collettivi in quanto beni ambientali che assicuri anche una piena armonia con gli artt. 24, 111 e 117, primo comma, Cost.

[…]

8. – Tale declaratoria di inammissibilità non deve ovviamente indurre a sottovalutare la serietà della disarmonia determinata dalla più volte segnalata sovrapposizione di funzioni giudicanti e di funzioni di impulso processuale. Questa Corte ha ripetutamente sollecitato il legislatore a intervenire, anche prospettando alcune delle possibili soluzioni normative. In particolare, si è messo in evidenza che avrebbero potuto costituire possibili soluzioni l’istituzione dell’ufficio del pubblico ministero presso il commissario agli usi civici, lasciando a quest’ultimo il solo compito di giudicare, oppure l’abolizione della giurisdizione speciale del commissario, lasciandogli soltanto il potere di iniziativa processuale, cioè «trasformandolo in un organo specializzato del pubblico ministero presso il tribunale ordinario» (sentenza n. 133 del 1993).

Nonostante il fermo invito formulato da questa Corte, il legislatore ha continuato a rimanere inerte. Tale inerzia non risulta in armonia con il dovere di leale collaborazione, la cui osservanza deve ispirare le relazioni fra tutti i poteri dello Stato (sentenze n. 410 e n. 110 del 1998 – che parlano di principio di lealtà e correttezza –, n. 139 del 1990, n. 35 del 1972, n. 168 del 1963) e in particolare quelle fra legislatore e giudice costituzionale (sentenza n. 242 del 2019, ordinanze n. 132 del 2020 e n. 207 del 2018). Essa costituisce anche una scelta problematica per lo stesso legislatore, poiché nelle complesse società contemporanee la capacità di rispondere ai bisogni dei cittadini costituisce una parte essenziale della sua legittimazione.

L’intervento del legislatore è particolarmente necessario perché l’innesto di un istituto premoderno come l’uso civico o il dominio collettivo sul tronco del diritto moderno è fatalmente problematico e, per attecchire correttamente, abbisognerebbe di una sapiente opera di coordinamento legislativo. Inoltre, la disciplina introdotta dalla legge n. 1766 del 1927 ha subìto una evidente torsione (così già le sentenze n. 152 del 2024 e n. 119 del 2023): concepita essenzialmente allo scopo della liquidazione degli usi civici, essa ha finito per rovesciarsi in normativa soprattutto protettiva della loro esistenza e del loro mantenimento (ora, in ispecie, nella forma del dominio collettivo), senza che – però – se ne aggiornassero adeguatamente i contenuti. […] È pertanto stringente l’esigenza che sia adempiuto il dovere del legislatore di intervenire organicamente in materia, ponendo ordine in un settore normativo nel quale si sovrappongono e confliggono, in una con l’esigenza della corretta amministrazione della giustizia, l’interesse delle comunità locali, il fondamentale interesse nazionale alla tutela del bene-ambiente, l’interesse privato e pubblico alla protezione della proprietà, l’interesse privato e pubblico all’esercizio dell’attività economica e alla realizzazione delle opere pubbliche e delle infrastrutture delle quali nessuna comunità politica può fare a meno.

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